Il SIGNA ANGELINA è un ritratto che Costantino Morosin ha dedicato alla madre. I tracciati di questa opera che misura 66 × 77 km, sono implementati nei luoghi dove Angelina è nata e vissuta e che includono i luoghi dell’infanzia e della giovinezza di Morosin.
I Signa AR Portraits, sono grandi ritratti creati in funzione della loro fruizione in mobilità. Morosin lega i tratti somatici dei soggetti che ritrae a luoghi che concernono la loro vita. Queste opere si possono attraversare nelle modalità della realtà aumentata e vedere sullo schermo di un qualsiasi device con SIGNAart app in forma privata o pubblica, da casa o mentre le si attraversa in aereo, nave, treno, autovettura, a piedi o in video istallazioni in musei o luoghi di grande frequentazione.
Ma come non perdere il valore fisico, emozionale, esclusivo dall’opera nata fra le mani dell’artista? Morosin completa la sua opera su supporto digitale creando in parallelo incisioni Signa su lastra inox, con una tecnica elettrochimica basata sull’acqua marina, rendendo inequivocabile l’autenticità, l’unicità e la resistenza dell’oggetto d’arte. Un esempio è l’estensione su lastra inox del Signa ANGELINA, cm 25 × 27,5.
Il SIGNA ANGELINA AR Portrait, è particolarmente godibile nei modi della realtà aumentata dall’alto, partendo o arrivando all’aeroporto Marco Polo di Venezia, città dell’antica origine della famiglia Morosin.
Uno fra i primi Signa di Morosin è l’opera “ANGELINA AR Portrait” del “2002”, coincide con la scoperta delle mappe elettroniche e della possibilità di disegnare dei temi d'arte su questo nuovo supporto.
Siamo portati a collocare gli affetti più nella mappa del tempo che in quella dello spazio, ma c’era una geografia che mappava le mie prime esperienze di bambino. Poche decine di chilometri fra le case dei nonni, ma molti modi di poterci arrivare con mio padre sulla Vespa nei primi anni 50’. Fra questo spazio, via via si infittivano le cose che potevo ricordare e raccontare proprio legandole alla visione di un luogo.
Chiudevo gli occhi e poi strillavo il nome o le caratteristiche del luogo dove mi sembrava di essere arrivato. Alle volte lasciavo passare dei minuti per rendere la cosa più difficile. Spesso indovinavo.
Spazio, evento, memoria, sono le parole chiavi di questo gioco, ma anche il senso profondo di un nuovo strumento che incontrai molti anni dopo, il GPS, un nuovo strumento che misurando assieme spazio e tempo, può tracciare e memorizzare il nostro movimento.
Quando nei primi mesi del 2002 ho avuto in mano il primo mio GPS, mi sono subito reso conto che questo strumento non era indifferente al sentimento, più che una protesi tecnologica, mi è sembrato una estensione dell’anima. E così l’ho usato”.